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Valchiampo: la comunità contro la centralina Comitato di difesa e tutela del torrente Chiampo

Ecco l’articolo pubblicato da VicenzaToday.it a firma di  Marco Milioni  che da conto della opposizione del Comitato di difesa e tutela del torrente Chiampocontro il progetto di una azienda di installare delle centraline sul torrente CHIAMPO

Valchiampo: la comunità contro la centralina
L’ennesimo progetto per un impianto idroelettrico provoca la reazione delle istituzioni e dei cittadini. Il sindaco di San Pietro Mussolino: «In Regione Veneto la maggioranza non si cura del problema»
«Non possiamo permettere che un chilometro e mezzo del torrente Chiampo tra Altissimo e San Pietro Mussolino sparisca de facto dal suo alveo per alimentare una centralina idroelettrica la cui ragione, anche da un punto di vista industriale, è ben difficile da giustificare». Sono queste le parole del «Comitato di difesa e tutela del torrente Chiampo». Un comitato agguerrito che ha fatto sentire la sua presenza anche nei confronti delle istituzioni locali che si sono presto schierate su una posizione di netta contrarietà all’opera proposta da una ditta veronese. Ritorna così di attualità l’annoso tema dei contributi green alle energie alternative, da tempo oggetto di uno scontro al fulmicotone tra sostenitori e detrattori.

IL PREAMBOLO
L’inizio della vicenda va datato al 2017 quando la Sordato srl chiede alla Regione Veneto, competente per le autorizzazioni in materia, di valutare la realizzazione di una centrale idroelettrica con una potenza compresa tra 1000 e 100 kilowatt (anche se la produzione dovrebbe attestarsi sui 700 kilowatt di massima dichiarata). L’acqua per far funzionare le turbine, che sarebbero interrate assieme al grosso delle tubazioni, verrebbe attinta dal Chiampo lungo un’asta compresa tra i comuni di Altissimo e di San Pietro Mussolino: anche se è in quest’ultimo che sono previste le opere più impattanti per la popolazione. La prima cosa che salta all’occhio è che il proponente, il quale ha sede a Monteforte D’Alpone nel Veronese, con le centrali elettriche c’azzecca ben poco. Visto che la compagnia è una dei leader regionali nella realizzazione di grossi impianti di climatizzazione per le cantine del vino. Sta di fatto che dell’iter vengono informati anche il Comune di San Pietro, quello di Altissimo, la provincia di Vicenza assieme ad altri enti comprese le belle arti.
Inizialmente la comunicazione inviata alla municipalità di San Pietro passa sotto il pelo dell’acqua. L’opposizione, che fa capo ad una civica con alcune componenti affini al centrosinistra, parla di svista improvvida degli uffici (anche se qualcuno nel comitato teme si sia trattato di un errore volontario). Il sindaco Gabriele Tasso, a capo di una civica più vicina al centrodestra, spiega di contro che agli uffici, con poco personale «vista la esigua dimensione del comune», possa essere inizialmente sfuggito qualcosa. Ad ogni buon conto la sveglia la suona il consigliere d’opposizione Giuseppe Antoniazzi (il quale è anche uno dei membri del comitato fra l’altro) che sul finire dell’estate chiede a più riprese alla giunta di esprimersi sul progetto.
I TIMORI
Il quaderno delle lamentele dei residenti e del comitato è fitto fitto. Ci sono i possibili danneggiamenti ad alcune case antiche poste a ridosso delle prese. C’è il rischio di far rinsecchire una parte importante del torrente anche se il privato garantisce che comunque nel greto sarà garantito un minimo vitale per quanto riguarda il deflusso dell’acqua. Ci sono i timori che i lavori una volta iniziati vadano ad interferire con la pista ciclabile «che è un vero e proprio punto di ritrovo per i nostri compaesani» spiega Ines Ticona di Legambiente, che è una residente del luogo ed appartiene pure lei al comitato. Quest’ultimo poi teme che l’impianto sia «decisamente sovradimensionato» rispetto alla portata del torrente che oltre ad essere esigua di suo ha dovuto patire negli anni una riduzione dei flussi a causa di minori precipitazioni. Per ultimo ma non da ultimo c’è la questione della antropizzazione spinta del comprensorio.
La valle del Chiampo, a partire da Arzignano, si è trasformata negli ultimi decenni in un guazzabuglio disordinato di case, capannoni, aree commerciali, insediamenti vari. Gli anglosassoni definiscono questa cementificazione selvaggia come «sprawl». Una sorta di discarica urbanistica diffusa che ha imbottito la valle di costruzioni più o meno utili. Una condizione abbastanza comune nel Veneto sulla quale ha lanciato spesso i suoi strali, tra i tanti, il professore Luigi D’Alpaos, uno dei massimi esperti di idrogeologia della del Nordest e del Paese. San Pietro Mussolino, almeno nella sua parte più a valle, non fa eccezione. E ha pagato a questo sviluppo poco ordinato un tributo, in termini di consumo di suolo e di brutture edilizie varie, più che salato. Ora nell’ottica di una economia più sostenibile, questo è il ragionamento di alcuni attivisti, è giunto il momento di tracciare un rigo «e di dire basta». Poi ci sono le famiglie i cui terreni dovranno essere espropriati per ospitare alcuni interventi del privato. Famiglie che sono sul piede di guerra: «Non si capisce perché si debba espropriare della terra alla quale siamo affezionati quando l’interesse a realizzare la stazione di trasformazione riguarda ben più il privato che il pubblico».
Non meno preoccupato è il primo cittadino sanpieruo che squaderna un argomento di attualità. «Dopo la deflagrazione del caso Pfas la nostra falda è la prima tra quelle a monte della contaminazione ad essere certamente sgombra da Pfas, se indeboliamo ulteriormente la falda che cosa potrebbe succedere se in caso di emergenza fosse richiesto di attingere proprio a quella riserva?».
Si tratta di argomenti che pesano soprattutto se si mettono in relazione ad un altro elemento che la giunta ha voluto ricordare a più riprese: «Il numero elevatissimo di prese d’acqua ai fini industriali che lungo il torrente sono da tempo già autorizzati» sottolinea Tasso il quale denuncia il fatto che l’attuale normativa nel caso di centraline elettriche non preveda il parere vincolante dei comuni. I timori di Tasso per di più sono stati condivisi e fatti propri dal sindaco di Altissimo Liliana Teresa Monchelato e dal consigliere provinciale con delega all’ecologia Matteo Macilotti.

SCENARIO POLITICOAd ogni buon conto che l’aria in valle sia decisamente ostile alla centralina lo si è capito definitivamente dopo che all’argomento sono state dedicate due serate di fila. La prima è stata convocata dalla giunta il 3 settembre. La seconda è stata organizzata dal comitato il giorno seguente. Quest’ultima ha fatto registrare il tutto esaurito. C’erano quasi trecento persone, poco meno di un quinto del paese. E proprio il 3 settembre Tasso non aveva avuto problemi ad accusare il centrodestra in Regione, al quale idealmente appartiene, spiegando che la maggioranza a palazzo Balbi e a palazzo Ferro Fini «se ne frega di quello che sta accadendo». Parole dure, che in laguna sono state percepite all’indirizzo sì del centrodestra, ma più nello specifico del Carroccio giacché questo esprime il governatore Luca Zaia, l’assessore all’ambiente Gianpaolo Bottacin nonché l’assessore ai rapporti consiglio regionale la rosatese Manuela Lanzarin. E non è un caso che proprio il giorno 4 l’opposizione di centrosinistra si sia presentata in forze col consigliere regionale del Pd Stefano Fracasso e con il consigliere Cristina Guarda della lista Amp.
I due per di più siedono in commissione ambiente. E durante quella serata in cui i toni concilianti hanno prevalso sulle querelle di schieramento si sono detti disponibili a collaborare con tutte le forze politiche del territorio trovando sponda anche in un pezzo da novanta del Carroccio locale, ovvero Fabio Biasin, che della Lega è il responsabile del circolo dell’Ovest vicentino e che è una persona molto ascoltata nel partito. Il quale tra l’altro si è più volte domandato se in alternativa all’idroelettrico non si possano invece usare i tetti dialcuni capannoni della vallata collocando sulla sommità di questi ultimi «dei pannelli solari di buona efficienza».
E se da una parte la Guarda ha promesso un impegno costante per dare una mano ai cittadini del luogo, è stato Fracasso, che non affondando colpi sul piano politico, ha teso la mano anche al centrodestra spiegando che sono le stesse linee guida approvate in Regione a statuire che tra le energie alternative incentivabili nel Veneto, l’idroelettrico «non ha praticamente più margini perché già ampiamente sfruttato». Biasin dal canto suo in quel frangente ha colto immediatamente la palla al balzo e a fronte di un clima tutto sommato sereno si è detto «disponibilissimo a fare squadra» e a portare le istanze della popolazione ai vertici del partito.
LE RAGIONI DEI PESCATORI
In questo contesto non vanno dimenticate le ragioni dei pescatori, che peraltro sono un bacino elettorale di non poco conto nel Veneto, i quali con Stefano Peretti, presidente dell’Associazione pesca sportiva dilettantistica del bacino Agno-Chiampo ha pure messo in guardia gli amministratori regionali «quell’impianto come altri non s’ha da fare» ha tuonato a più riprese, precisando che la centrale non solo precluderebbe almeno in parte l’esercizio della pesca sportiva ma che quell’intervento si configura come un vero e proprio carico ambientale: «un carico eccessivo per la valle». Si tratta di un parere che conta tanto che lo stesso sindaco di San Pietro a più riprese ha ribadito che «se la Regione darà il nulla osta alla centrale» il comune procederà con un ricorso al Tar.
LA PROCEDURA
Ma a chi spetta esattamente l’autorizzazione? Più nel dettaglio l’organo deputato a decidere in materia è la Commissione regionale di valutazione per l’impatto ambientale, meglio nota come «Via». A quest’ultima spetta di stabilire se l’eventuale impatto sull’ambiente porti comunque un beneficio ecologico superiore rispetto al disagio provocato. Ed è proprio nell’ambito di questa misurazione che da anni si combattono tra le sfide amministrative più cruente.
Da una parte c’è la scuola di pensiero di chi legge la norma in modo letterale e chiede che nella Via vengano ricompresi tutti i carichi ambientali e sociali, i rischi potenziali e che sia effettuata una distinzione netta tra benefici collettivi e privati. Si tratta di una lettura cara alla galassia ecologista che cozza invece con quella più in voga presso le amministrazioni che devono autorizzare i progetti. E che tendenzialmente sposano una lettura più economicistico-ingegneristica, in cui l’ente pubblico, acclarata la regolarità dei permessi trasmessi e in assenza di evidenti ostacoli giuridico-normativi, rilascia il permesso.
C’è poi un altro aspetto da considerare. La norma che permette ai privati di chiedere in modo assai semplificato alla regioni di realizzare piccole centrali elettriche è di rango nazionale. Si tratta di una legge che da subito è stata criticata. In primis perché metterebbe i proponenti in una posizione di vantaggio per quanto concerne la procedura. In secundis perché non fornisce agli enti locali, che sono poi quelli che hanno a che fare con eventuali rogne nel territorio, alcun potere di veto. In questi giorni per di più si sta parlando di una modifica della disciplina con vincoli decisamente più stringenti per i privati tanto che i gruppi che si occupano di lobbying già sono sul piede di guerra per cercare di arginare una eventuale riforma. Riforma che vede tra i suoi alfieri il deputato bellunese del M5S Federico D’Incà.
Va poi aggiunto che la Commissione via del Veneto è stata spesso oggetto di polemiche al vetriolo per possibili conflitti di interesse che l’hanno lambita. Questo in ragione del fatto che tale organo è composto anche da liberi professionisti i cui studi possono, alle volte, direttamente o indirettamente, avere a che fare con i soggetti le cui proposte proprio dalla Commissione via debbono essere vagliate.
PARTITA IN CORSO
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E che la partita di San Pietro Mussolino vada ben oltre i confini della valle e quelli degli schieramenti politici è ben facile da intuire: da anni in tutto il Veneto si combattono battaglie al calor bianco al riguardo, basti pensare al Bellunese o a quella oggi combattuta a Valdagno o pochi mesi fa proprio a Crespadoro, in cui il privato ha dovuto soccombere. In questo frangente non vanno sottaciuti alcuni dettagli.
Tra questi c’è la ponderosa relazione redatta dallo Studio Mastella di San Pietro in Cariano nel Veronese che costituisce uno dei cavalli di battaglia del Comune contro l’intervento dei privati. Lo studio è stato finanziato da Acque del Chiampo, una spa che gestisce il ciclo dell’acqua nel comprensorio e che politicamente fa riferimento proprio al centrodestra. A sua volta una parte fondamentale dei dati elaborati dallo studio Mastella è stato fornito da Marco Zambon, un informatico che da tempo lavora fianco a fianco del comitato in cui figurano tra gli altri Antoniazzi e Ticona. Segno che al di là di alcuni botta e risposta tipici delle polemiche politiche, la popolazione ha deciso di fare fronte comune come già era successo in valle del Chiampo alcuni mesi orsono quando proprio a Crespadoro dove un’altra centralina era stata bloccata sul nascere.
LO STUDIO
E quanto elaborato dallo studio veronese per Acque del Chiampo potrebbe pesare sull’esito della pratica poiché il geologo Cristiano Mastella ha evidenziato più di una carenza nel progetto proposta dalla Sordato. Si parla di insufficienza delle informazioni progettuali fornite. Si spiega poi che non risulta chiaro «come verrà gestito l’inserimento della condotta lungo il percorso indicato… e come avverrà l’innesto della nuova livelletta stradale rispetto al ponte sul Chiampo». E ancora, parlando degli attraversamenti, si legge che «non è presente alcuna rappresentazione di inserimento paesaggistico dello stato dei luoghi dopo l’intervento, trascurando completamente il forte impatto che un innalzamento di circa un metro della struttura esistente potrebbe portare». E le doglianze proseguono senza sosta andando dalle lacune nelle informazioni sulla cantierizzazione alla esiguità dei fondi accantonati per gli imprevisti.
QUESTIONE DI FONDO
Rimane però una questione insoluta. Se è vero, come sostengono i comitati, che il privato garantisce che userà l’acqua del torrente solo nel caso in cui la portata è più che adeguata, considerando che le precipitazioni degli ultimi anni non sono nel segno dell’abbondanza, a che pro la Sordato intende realizzare un’opera che costerà qualche milione e che rischia di rivelarsi inefficace?
In questa prospettiva va considerato il fiorente mercato nato attorno ai cosiddetti certificati green. Detto alla grossa si tratta di attestazioni di sostenibilità ecologica le quali comprovano che un determinato processo è stato ottenuto con fonti energetiche rinnovabili e non con energia di derivazione fossile come gas, petrolio o carbone. Questo surplus di sostenibilità può poi essere ceduto a sua volta ad aziende che invece sono altamente energivore le quali a fronte di un esborso di danaro potranno vedere migliorato il loro status di ecosostenibilità: il tutto con l’obiettivo primario di ridurre i gas serra. Obiettivo che con alcune eccezioni di riguardo è divenuto patrimonio della comunità mondiale per fronteggiare il problema del riscaldamento globale. Il punto però è che la norma è farraginosa (i maligni sostengono che sia volutamente farraginosa) per cui molte aziende finiscono per avere certificati green non a fronte di un risparmio effettivo sulla generazione di anidride carbonica (uno dei principali gas serra), bensì in virtù di semplici progetti magari approvati solo sulla carta. E non è un caso che gli ambientalisti, anche nel caso della centrale di San Pietro Mussolino, abbiano chiesto lumi in Regione, proprio per capire se la proposta avanzata da Sordato, i cui clienti possono potenzialmente avvalersi di impianti energivori, si presti a usi incongrui o distorti. Il dubbio non è di poco conto: si ricordi a mo’ di esempio anche se il contesto è completamente diverso, “allo scandalo dei certificati bianchi  che lo scorso anno dal Piemonte ha tenuto banco su tutta la stampa nazionale.

comitato NO CENTRALE VALCHIAMPO

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