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Igor d’India e la discesa in Canoa del Fiume Yukon in Alaska e l’intervista col capo indiano Clarence Alexander

Igor d’India e il progetto The Raftmakers, la sua spedizione in solitaria lungo il fiume Yukon, in Alaska il fiume dei cercatori d’oro.
Igor palermitano di 32 anni ha ripercorso la via di Walter Bonatti in Alaska .
I primi 1400 chilometri lungo il fiume Yukon somo filati lisci ma poi le condizioni meteorologiche sono peggiorate con il vento che arrivava a raffiche di quaranta nodi e così ha deciso fare tappa a Fort Yukon ospite dalla famiglia del capo tribù Gwitch’in, Clarence Alexander . E ha anche avuto modo di prtecipare al loro raduno biennale ( chiamato gathring) che si è tenuto nel villaggio di Old Crow.

Evillaggio-old-crow-fort-yukon-alaskacco l’intervista integrale Che Igor ha fatto a Clarence Alexander il capo tribù preoccupato degli effetti dei cambiamenti climatici.

Da lastampa.it

“Qualche tempo fa – mi ha detto – ero in Danimarca per un summit sul climate change… i rappresentanti dei Paesi scandinavi sono preoccupati per la popolazione di renne e caribù delle loro terre. Piove molto e l’habitat di questi animali sta cambiando. Da noi è lo stesso. Ma qua viviamo quasi totalmente della caccia al caribù. Senza questi animali siamo spacciati”.
Domanda: E il salmone?

R: “A parte che io quella merda non la mangio perché fa venire i capelli bianchi, poi ce ne sono sempre meno. Vengono pescati in enormi quantità davanti al delta dello Yukon, qui arrivano le briciole ormai. E la gran parte di questi animali sono contaminati dal mercurio e se ne possono mangiare pochi all’anno. Meglio il caribù…e poi io sono un cacciatore, odio pescare”.
D. Torniamo al clima… Sono qua da dieci giorni ormai e la perturbazione non accenna a passare. Ero convinto del fatto che qui d’estate si verificassero temporali violenti, ma molto brevi. Cosa succede?

R. “Il tempo sta cambiando al punto che avremo anche delle alluvioni. Le temperature sono più alte d’inverno, e c’è più umidità. L’ice breakup (lo scioglimento dello spesso strato di ghiaccio che ricopre i fiumi in inverno, ndr) si è trasformato in un evento pericoloso. In primavera la neve sulle montagne si scioglie molto rapidamente e scorrendo verso valle in grandi quantità, solleva le lastre di ghiaccio ancora intatte sui fiumi, spaccandole e scaraventandole con violenza sulle sponde. E’ successo a Eagle qualche anno fa. I blocchi di ghiaccio ammassati formano degli sbarramenti che deviano l’acqua e favoriscono le esondazioni distruggendo i villaggi e la foresta. Così il fiume sta dragando le rive di permafrost e sta spazzando via numerose isole”.

D. Quindi l’Alaska risente parecchio del riscaldamento globale?

R. “Una grossa massa di umidità è entrata in questa zona a causa del surriscaldamento degli oceani ed è un problema molto serio perché questo sta cambiando l’intero ecosistema. Qua c’era un clima secco, abbiamo visto piovere abbondantemente per la prima volta venticinque anni fa. Quando ero bambino io, sessantacinque anni fa, la pioggia era un fenomeno raro… quest’estate invece abbiamo avuto solo due giorni di bel tempo. Qualcuno del Congresso (USA) ha detto che sono fenomeni normali… ma come fa uno seduto su una sedia dall’altro lato del Paese a raccontare a noi cosa è normale a casa nostra? Dovrebbe venire qua a vedere e capirebbe che il problema è serissimo”.

D. Ho visto una sua foto con il presidente Obama in cui riceve un premio importante. Di che si tratta?

R. “Il presidente mi ha premiato con la Presidential Citizens Medal (la seconda più alta onorificenza civile negli USA) per il mio lavoro di tutela del fiume Yukon. Ho lavorato dal 1997 alla raccolta e al trasporto di rifiuti tossici verso le grandi città dell’Alaska. Elettrodomestici, copertoni, scarti di cantieri, tutto viene riciclato una volta a destinazione. Abbiamo smaltito milioni di tonnellate di immondizia. In quell’occasione l’ho ringraziato del premio e gli ho raccontato qual è la nostra situazione attuale. Poi scherzando gli ho detto anche che quando mi ha telefonato l’FBI per dirmi di recarmi a Washington per un attimo ho avuto un mancamento”.

Dopo aver intervistato Clarence ho parlato con un cacciatore di nome Josh, che mi ha accompagnato sul suo cabin boat da Fort Yukon a Old Crow sul fiume Porcupine. Gli ho chiesto se negli anni sia cambiata anche la caccia ai grandi mammiferi. “Stanno succedendo – mi ha risposto Josh – cose piuttosto strane. Dicono che in diverse zone dei Northwest Territories del Canada abbiano scoperto alci con delle malformazioni al fegato. È meglio quindi fare sempre un controllo prima di iniziare la macellazione, perché non è un fenomeno naturale. Siamo convinti che sia causato dalle sostanze che ingeriscono gli animali bevendo l’acqua dei fiumi vicino ai siti industriali. Abbiamo preso questa abitudine anche noi, per precauzione. I caribù sono sempre meno e cambiano spesso le rotte migratorie disturbati dal tempo, ma anche banalmente dal rumore degli aerei. Inoltre da qualche anno i piccoli di alce e caribù sono predati da una nuova razza di orso particolarmente aggressiva, frutto di incroci tra quello polare e i grizzly (il cosiddetto Grolar Bear).

Gli orsi polari, ha continuato il cacciatore Josh, vengono a cercare cibo sempre più a sud, spinti dalla fame; capita quindi che si incrocino con altre razze. “Sinceramente noi preferiamo abbatterli – continuò a spiegare – perché non ci fidiamo affatto di queste “nuove bestie” e perché ci fanno scappare le prede”. Agli orsi non si spara sempre; “se sono vicini a una casa o sono nei dintorni del villaggio io sparo a vista. Qua non siamo in città, si fa così. In questo periodo comunque (Agosto) li cacciamo perché la loro carne è più dolce perché si abbuffano di bacche…dovresti vederli quando finiscono di mangiarle e gli fermentano nello stomaco. Si ubriacano proprio! Barcollano, stramazzano al suolo, si muovono in modo bizzarro. In quelle occasioni però non gli sparo mai, è troppo divertente guardarli!”

Per quanto ci sembri un atteggiamento duro e spietato, nel wilderness artico c’è ancora lo stile di vita che troviamo nei libri di London. La sopravvivenza a centinaia di chilometri da una città con un supermercato rende queste pratiche una normale routine. Ma anche la gente del Nord ormai si prepara a fronteggiare fenomeni atmosferici nuovi e violenti e l’inizio di una nuova era in cui la natura si riprenderà gli spazi che le abbiamo strappato con prepotenza.

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