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Diario del tenente Melchiorre Rigolone nel 1918 in guerra sopra la Valbrenta

Nel Giorno del 4 novembre a 100 anni dalla fine dellaGrande Gurra pubblichiamo il diario del tenente Melchiorre Rigolone che un secolo fa era sulla nostra vale

A 100 Anni Dalla Fine Della Prima Guerra Mondiale La Testimonianza In Esclusiva Nel Diario Di Un Protagonista

Il tenente Melchiorre Rigolone combattente nella prima guerra mondiale ha lasciato un bollettino dei suoi ricordi di guerra. Riportiamo la memoria che riguarda la definitiva battaglia di Col Moschin e la prefazione del protagonista.

Il fascicolo dei Bollettini era impolverato e malconcio; ho ritenuto che valesse la pena farlo rilegare e così sono venuti a galla ricordi vivi, come da poco vissuti, da qui lo spunto per stendere queste memorie per i miei posteri.

I miei posteri (sono due) daranno a queste note una distratta lettura senza trattenere un risolino di compatimento?

La gioventù coltiva ancora ideali di Patria, i sogni e le antiche aspirazioni che spinsero alla guerra di redenzione ultima, si diceva, ed alla unione di tutti gli Italiani irridenti? Ne dubito, comunque se leggeranno e faranno un risolino di compatimento, pazienza.

Col Moschin

Dal Grappa al Col Moschin, mi sembrava di ricordare verso marzo od aprile del ’18 il Gruppo si era riunito-151°,152°,153°-ed in previsione dell’attacco nemico le tre batterie erano in linea di fronte, la 152°sulla sinistra, quasi sugli strapiombi che scendono in Val Brenta, le altre due sulla destra verso la camionale che sale al Grappa.

Con le altre due non avevamo gran dimestichezza perché mai unite prima di ora. Abbiamo il tempo di approntare le piazzole coperte da sacchi di terra, ricoveri, camminamenti, eccettera. Efficaci i collegamenti telefonici, sia con la prima linea-a duecento metri-tenuta dalla Brigata Basilicata con l’osservatorio e di inquadrare la zona su cui dovevamo effettuare opera di sbarramento, o settore ad ovuli, di giusta ampiezza.

Tenersi pronti! attaccano il….

Ogni tanto i comandi davano la notizia. Le informazioni erano ottenute da prigionieri presi con colpi di mano dalle Fiamme Nere, da aerei, da disertori sempre numerosi alla vigilia di azioni! L’Austria era un mosaico di razze, non tutte d’accordo tra loro I giorni però passavano senza novità.

Attaccano il…era come la storia del lupo e quasi non credevamo più.

Attaccano sicuramente il 15 giugno alle ore tre! Guardia continua ai pezzi.

Fummo presto convinti perché all’una un violento fuoco di contro preparazione dei nostri medi e grossi calibri si sferrò sulle spalle del nemico e sulle sue forze in marcia di avvicinamento.

Altro diluvio alle due e dal Col Moschin che dominava la pianura veneta fino al Montello era uno spettacolo: fiammate come fuochi di artificio da posti da noi insospettati perché ognuno viveva nel proprio brodo, nello spazio in cerchio di due, tre chilometri ma a semicerchio, perché l’altra metà era dall’altra parte!

Alle tre l’artiglieria nemica iniziò un bombardamento “tambureggiante”sui nostri piccoli calibri che occorreva neutralizzare. Su ai pezzi, mettetevi le maschere, sparano  gas. Non abituati si rimaneva soffocati.Viaallora!non era gas ma odore di polvere da sparo e di scoppio.

….

Tutta inutile la predisposizione, la violenza dei tiri stritolò i fili telefonici dopo appena cinque minuti; provai il telefono che suonava a vuoto. Isolati, arrangiarsi!

Per non sparare alla cieca, mi portai avanti nella trincee della Calabria: “tu “dissi ad un servente” seguimi a cinquanta metri, se cado ferito portami indietro, veh” ”Signorsi” e via! In trincea arrivano tiri corti, c’è una relativa calma,soldati attenti.

Passa un colonnello, lo fermo e mi dice: ”Tenente, hanno rotto sulla destra, alla Osteria della Lepre, a Maneguggia e Cestarotta, stanno aggirandoci”.

Improvvisamente sulla destra una spruzzata da mitragliatrice. Giù a terra, perdio, ed eccoli poco dopo dal dietro, dalle ‘case bruciate’, circondati.

Erano più di due le mitragliatrici e truppe d’assalto-Austriaci? Tedeschi? – che vedemmo avanzare verso di noi. Che fare? I cannoni a breve distanza non servono, girarli e sparare a zero, una parola. Intanto quelli si avvicinavano decisi, bombe a mano pronte, si vedevano.

Riunii i superstiti, i feriti. Che fare di essi? Ordinai ai capipezzi di levare gli otturatori, riporli in sacchi, pancia a terra e..via verso le trincee a ridosso delle pareti sulla Valbrenta.

Quegli altri a rincorrerci con lancio di bombe, i nostri nelle trincee a cui eravamo diretti, nella baraonda del momento, a spararci addosso: un fuoco di mitraglia, fucili, bombe, non distinguevano noi dagli altri.

Giù a terra… Mi presentai al primo ufficiale che vidi.

Mi rincuorò, ”Vai giù per questo sentiero in Valbrenta”

Al mattino del 16 ci accompagnammo con le Fiamme Nere del battaglione Messe coi nostri otturatori ed altro, la vista di quei diavoli ci diede animo. “Tu Rigolone, bada anche ai miei uomini, se lanciano bombe a mano per strada, consegnali o dimmelo”. In camion su verso Ponte San Lorenzo, massima penetrazione del nemico, a terra ed avanti…loro, si intende!

A vederli, li vidi per poco tempo, era uno spettacolo, un mordente estremo, preparati con severità a quel… mestiere, non attesero neanche che il nostro fuoco di preparazione di artiglieria allungasse il tiro…sotto, moschetto a tracolla che non usano, due tasconi di bombe a mano, mitra di tipo leggero: mitragliatori Fiat a due canne che sputavano cento pallottole cal.7 al secondo, lanciafiamme e ..via!

In due, quatro, a stanarne cento dalle buche, quei poveri Austriaci avviliti dall’insuccesso, stanchi, affamati, storditi dai nostri tiri, ad alzar le mani veniva spontaneo, un calcio nel sedere…gettare le armi, giù a far segno, di là.

Quei diavoli a non tenerli sarebbero andati fino a Feltre, avanti, non curatevi delle spalle, avanti. Sarà per dopo l’avanti definitivo.

Il diario completo dei leggendari giorni del Piave sono stati unicamente pubblicati nel volume “Il mio Novecento, la tradizione ricostruita” di Nene Ferrandi e Giacomo Rizzi

Il mio Novecento, la tradizione ricostruita di Nene Ferrandi e Giacomo Rizzi

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